martedì 20 dicembre 2011

"E quel giorno dell'80 il pallone finì in galera.."



Gaetano Nanula, due lauree in cornice e i gradi di tenente colonnello della Guardia di Finanza sulle spalline, dopo l' intervallo della partita Pescara-Lazio piazzò 15 dei suoi uomini (8 in borghese e 7 in divisa) intorno agli spogliatoi dello stadio Adriatico. Il terzino del Pescara Lombardo entrò al 18' del secondo tempo, al posto di Cinquetti, e passando accanto a Vincenzino D' Amico gli sussurrò: «Tira brutta aria, c' è la Finanza che vi aspetta». Due minuti dopo, erano le 16.20, il colonnello Nanula si avvicinò a Lionello Manfredonia, in tribuna, invitandolo a seguirlo. La gara finì 2-0 e Bruno Giordano, Pino Wilson e Massimo Cacciatori furono portati ancora in calzoncini e maglietta zuppi di sudore nello stanzino dell' arbitro, Rosario Lo Bello, per la notifica del mandato di cattura, spiccato la sera prima dal giudice Arnaldo Bracci della Procura di Roma. 
Si fecero la doccia osservati a vista dagli agenti. Wilson, il capitano, ebbe una crisi di nervi. Il presidente Lenzini pregò i militari di non adoperare le manette e fu accontentato. I quattro laziali, usciti a testa bassa al grido di "ladri" e "venduti" dei tifosi ai cancelli, furono infilati dentro due Alfette verdi e condotti a Regina Coeli. Giordano, 24 anni, unico in giacca e cravatta. 
Accadde il 23 marzo 1980: la domenica in cui il pallone finì in galera. Alla gogna. L' inizio dello scandalo del calcioscommesse. Ancora oggi il più grosso, tra i tanti che hanno poi sporcato il pallone. "Manette negli stadi", titolarono i giornali, anche se l' unico ad arrivare nel carcere di Trastevere coi ferri ai polsi fu Sergio Girardi del Genoa. Stefano Pellegrini dell' Avellino venne preso in consegna appena finita un' intervista ad una radio cui aveva raccontato la sua rete al Cagliari. A 90° minuto Paolo Valenti, invece dei gol, portò nelle case degli italiani le immagini choc delle volanti sulle piste d' atletica degli stadi. Il blitz andò in scena a Roma, Milano, Genova, Palermo, Pescara e Avellino. Dodici calciatori arrestati: oltre ai già citati, anche Albertosi, Morini, Della Martira, Zecchini, Magherini e Merlo. Più il presidente del Milan Felice Colombo. Il tredicesimo ricercato, Gianfranco Casarsa, quello che batteva i rigori senza rincorsa, si costituì il giorno dopo. Rimasero in isolamento per 11 giorni, fino al 3 aprile, quando vennero liberati dietro cauzione complessiva di 105 milioni di lire. Per altri venti giocatori - tra cui Paolo Rossi, Cordova, Damiani, Savoldi e Dossena - fu sufficiente un mandato di comparizione. L' operazione scattò in seguito alla denuncia sporta da Massimo Cruciani, oggi come allora grossista di frutta e verdura a Roma, e dal suo socio Alvaro Trinca, ristoratore nel frattempo deceduto. Cruciani riforniva di frutta la Santa Sede e, in cambio di biglietti, portava i giocatori a fare spesa e benzina a prezzi stracciati in Vaticano. Così se li faceva amici. Il primo marzo di quel 1980 accusarono 27 giocatori e 12 società di averli truffati, venendo meno alla promessa di combinare i risultati di partite di A e B. I magistrati Monsurrò e Roselli indagarono su dieci incontri truccati. Cruciani e Trinca scommettevano forte al totonero, a volte anche per conto dei giocatori stessi. Poi però non tutte quelle gare finivano come avevano assicurato i calciatori coinvolti. E i due si ritrovarono sotto di 960 milioni delle vecchie lire, disperati e minacciati dai creditori. La giustizia sportiva retrocesse in B Milan e Lazio, penalizzò di 5 punti Bologna, Avellino e Perugia, radiò Colombo e inibì per un anno il presidente del Bologna Fabbretti. Furono squalificati 21 calciatori, poi graziati dopo la vittoria del Mundial nell' 82. 
Dal processo sportivo uscì indenne la Juventus: per quell' 1-1 di Bologna furono condannati solo i giocatori rossoblù Petrini, Savoldi e Colomba. Cruciani, teste chiave su quel match sospetto, non si presentò in aula. 
Carlo Petrini, nella dettagliata ricostruzione di tutta la faccenda fatta nel suo libro "Nel fango del Dio pallone", scrive che fu Boniperti a chiedergli di far desistere l' accusatore e racconta di un incontro notturno con il Cruciani, con tanto di travestimenti, alla vigilia dell' udienza, nel quale gli promise 70 milioni in cambio del silenzio. Tutti i coinvolti, tranne Petrini, hanno sempre parlato di montatura, calunnie, equivoci e leggerezze giovanili. O taciuto. Un amico faccendiere di Cruciani, 5 anni dopo, scagionò Rossi: «Fu tirato in mezzo solo perché era un simbolo». Ma la nazionale si ritrovò senza i due centravanti (anche Giordano) a un mese dagli Europei in Italia. La giustizia ordinaria celebrò il processo penale nell' aula del Foro Italico. Sugli stessi banchi dove poi sarebbero finiti i brigatisti del sequestro Moro, si sedettero i campioni con le loro giacche colorate, le camicie aperte, i capelli lunghi, i pantaloni di pelle e le facce bianche di paura.
Il 23 dicembre 1980 fu emessa la sentenza di assoluzione: truccare partite non era reato.

Emilio Marrese - La Repubblica (Marzo 2005)


Nessun commento:

Posta un commento